Il Principe Caspian... il Film

Il Principe Caspian fu pubblicato nel 1951, secondo dei sette volumi di Le Cronache di Narnia, ma quarto rispetto alla sequenza cronologica degli eventi. Nel 2008, Andrew Adamson ne ha diretto il film dal titolo Le cronache di Narnia: il Principe Caspian.

Abbiamo 196 visitatori e nessun utente online

Utenti 1746 Articoli 99
“E così il grande Pescatore giocò il Suo pesce, ma non mi era mai passato per la testa che l’amo fosse nella mia lingua” (Sorpreso dalla gioia, p.154)

Lewis vive con Mrs. Moore e sua figlia Maureen a Oxford. Accanto a questa che è diventata per lui come una vera e propria famiglia, egli stringe altre amicizie, soprattutto nell’ambito universitario, dove spesso sa ottenere ottimi risultati. L’amicizia più importante che fa in questo periodo è quella con Owen Barfield, oltre a quella con A. Cecil Harwood ed A. K. Hamilton Jenkin, che diventeranno parte degli “Inklings”, un gruppo ristretto di amici che condividono interessi letterari ed a cui dedicherò particolare approfondimento più avanti.

Dal un punto di vista finanziario non poche sono le difficoltà: Lewis può solo contare su un piccolo contributo da parte di suo padre, mentre Mrs. Moore si vede spesso negare il supporto economico da parte del suo ex marito. Anche per questa ragione Lewis trascorre molto tempo nel prendersi cura della signora e di sua figlia Maureen.[1] Spesso, per recarsi al campus, va in bicicletta, e nonostante tutte le difficoltà, Jack riesce incredibilmente a realizzare qualcosa di piuttosto raro per uno studente di Oxford; egli riceve il grado di eccellenza in tre aree di studio: i classici latini e greci, la filosofia classica e la letteratura inglese.[2] È durante questi anni che incontra un’altra persona che diventerà suo grande amico. La sua simpatia per Nevill Coghill[3] è immediata: rimane invece deluso e quasi scioccato alla scoperta che, oltre ad avere mirabili qualità, anche Coghill è di fede cristiana. Lewis poi scriverà:

Questi elementi di disturbo si accompagnavano in Coghill a uno sconvolgimento ancora maggiore che minacciava adesso l’intero mio primitivo modo di vedere. Tutti i libri cominciavano a rivoltarmisi contro. In effetti, dovevo essere stato cieco come un pipistrello per non avere colto da un pezzo la ridicola contraddizione tra la mia teoria esistenziale e le mie esperienze di lettore. George MacDonald aveva fatto per me più di qualunque altro scrittore; naturalmente, era un peccato che egli avesse il pallino del cristianesimo. Era valido a dispetto di esso. Chesterton aveva più senso di tutti gli altri moderni messi insieme; e indipendentemente dal suo cristianesimo. Johnson era uno dei pochi autori di cui sentivo di potermi fidare ciecamente; abbastanza stranamente, aveva lo stesso pallino. Per una curiosa coincidenza, lo avevano anche Spencer e Milton. Era possibile scoprire lo stesso paradosso anche tra autori antichi. I più religiosi (Platone, Eschilo, Virgilio) erano senza dubbio quelli cui potevo realmente attingere. D’altro canto, gli scrittori non afflitti dalla religione che in teoria avrebbero avuto diritto alla mia più totale simpatia – Shaw e Welles e Gibbon e Voltaire – avevano tutti un’aria un po’ sparuta; quel sapore che da ragazzi chiamavamo “di latta”. Non che non mi piacessero. Erano tutti (specialmente Gibbon) divertenti; ma niente di più. In essi non sembrava esserci profondità.[4]

Ma accanto alla sua fortuna quanto ad amicizie letterarie e successi accademici, Lewis ha notevoli vicissitudini nella ricerca di un lavoro all’università. Come già detto, egli riceve straordinariamente il grado di eccellenza in ben tre aree di studio, eppure ha difficoltà nel trovare un impiego d’insegnamento dopo la laurea. Trova appena un posto per un anno allo University College, nel dipartimento di filosofia. In quel tempo non ha grande successo nella docenza e si sente profondamente disturbato dall’idea che forse non otterrà mai un vero posto all’università, né scriverà mai poesia di buon livello.[5] Ma successivamente, gli è affidata l’assistenza all’insegnamento dell’inglese al Magdalene College, uno dei più prestigiosi di Oxford.

In quello stesso periodo, pubblica un suo lungo poema dal titolo Dymer, ancora sotto lo pseudonimo di Clive Hamilton.[6] In termini di vendite, è quello che tra i suoi lavori ha meno successo, sebbene Lewis ci abbia lavorato sopra per quasi un decennio. Lo ha inizialmente scritto in prosa, col titolo The redenption of ask, e tratta della storia di un uomo che si accoppia con una bestia dando vita ad un mostro. Questi uccide il suo stesso padre e diventa un dio. La storia è dunque un mito e molti critici vi tributano eccellenti recensioni. Nonostante ciò, l’opera fallisce totalmente quanto al suo pubblico. Al contrario, George Sayer lo considera un lavoro di potenza straordinaria e pensa che esso potrebbe ancora essere apprezzato come uno dei pochi lunghi ed eccellenti poemi scritti nel ‘900.[7]